Maschera Neutra

Cosa significa questo titolo? indossare una Maschera Neutra (come si vede dalla foto sotto) annulla l'epressione del volto, spostando la nostra attenzione sulla mimica corporea. Questa maschera non ci permette di contare sul nostro viso, sulla parola o sul gioco psicologico dello sguardo; abbandonando questi luoghi di sicurezza ogni gesto del corpo può essere sentito e vissuto consapevolmente... dalla testa ai piedi è tutto il corpo ad esprimersi. In un certo senso cercherò di anticipare le tecnologie del prossimo futuro, con le quali sarà possibile collegarci fisicamente al nostro PC scaricando sul nostro corpo le emozioni di chi le vuole pubblicare in rete. Questa maschera-blog non vuole nascondere o mascherare chi sono, ma trasmettere l'essenziale di me stesso, pur nei limiti di ciò che rimarrà inevitabilmente inespresso: senza dubbio sarà il mio corpo digitale.

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qui (il video è molto scuro) x saperne di più clicca sul nome dell'inventore della maschera neutra Jaques Lecoq


lunedì 23 luglio 2007

Principio di dislocazione

La domanda da cui parte questo post è: quando nella nostra vita assumiamo un ruolo istituzionale, come dobbiamo relazionarci alla società per trasformare il nostro sapere istituzionale di partenza? credo che la risposta sia nella nostra capacità di dislocare le nostre competenze, conoscenze, pratiche.. portarle in luoghi che apparentemente non hanno bisogno di questi saperi. Qui di segutio porto un esempio di questo processo che riguarda la filosofia, ma chi è attento avrà visto questa trasformazione in atto in molte atre discipline.

Questa mia recensione, del libro "Filosofia in carcere" del filosofo napoletano Giuseppe Ferraro, è apparsa nel n° 4 della rivista "Pratiche filosofiche".

Abbreviazioni: FC, Filosofia in carcere, Filema 2001; FB, La filosofia spiegata ai bambini, Filema 2000; ADM, Amore Differenza Mondo, Filema 1994.


“[…] Ad un certo punto del proprio cammino viene un momento in cui ci si chiede che cosa si sta facendo, perché questo lavoro, come e per chi?” (FC p. 15); da questo interrogativo ha inizio il percorso di Ferraro “fuori le mura” dell’Università, e a questa domanda è chiamata a rispondere oggi la filosofia se è cosciente della sua storia. “La filosofia si occupa di questioni estreme, che riguardano i perché, il senso e il non senso della vita e delle relazioni tra gli uomini, allora è sui luoghi estremi che la si deve portare perché risponda del suo sapere” (FC p. 16). “Luoghi di attese” come gli ospedali, gli asili, le carceri dove ciò che è possibile diventa impossibile, perché si è malati, troppo piccoli o reclusi. Portando la filosofia in questi luoghi non si vuole insegnare cos’è, ma capire cosa ha da dire a coloro che si trovano “fuori” dal mondo. Come ci ricorda Ferraro, non c’è niente di nuovo in questo, basti pensare all’importanza assunta dai luoghi nei dialoghi platonici; da sempre la filosofia “[…] cerca i luoghi da dove prendere parola” (FC p. 114). Ma questa parola non è una vuota teoria, “è piuttosto una pratica, fatta d’esercizi e posture del pensiero, capace di mettere distanza dentro se stessi e trovare un varco al rapporto con altre pratiche ed esperienze letterarie, con altri” (FC p. 16). E’ quindi “ […] una disciplina della relazione a sé e agli altri” (FC p. 113) che permette di “imparare la vita dalla vita” rendendola sostenibile (1) attraverso la cura di sé e degli altri.
Le esperienze felici dell'Autore, prima con i bambini, poi con i minori del carcere, ne sono la testimonianza; la filosofia sperimentata in questo modo non ammette distinzioni tra essere, fare e sapere, non può che essere vissuta come esperienza totalizzante, irraccontabile (2) anche se raccontata. Cogliendo la singolarità (3) delle “non storie” di ogni ragazzo Ferraro è riuscito a stare “tra loro” nella dinamicità di una relazione che non si paralizza in un’unica posizione: “contro” (agente di sorveglianza), “vicino” (educatore), “di fronte” (docente) e “fuori” (esperto). Il nostro autore discorrendo con i giovani del senso della vita, della libertà, della fiducia, dell’io, degli altri cerca di far nascere in loro “[…] la voglia (4)di una vita fino ad allora non vissuta perché sconosciuta”(5) (FC p. 118). Ciò che ignorano questi ragazzi è che “la necessità del mondo dice la nostra finitezza, non in quanto morenti, ma in quanto accomunati da un destino che ci espone all’eventualità dell’incontro (6). Noi siamo liberi quando scopriamo, che nel nostro essere finito non c’è privazione, né incompiutezza, ma dipendenza, quel sentimento (7) che ci rende necessari l’uno/a all’altro/a” (ADM p. 15). Questo significa che “l’indipendenza non sarà l’emancipazione da uno stato di minorità, quanto lo stare bene nella dipendenza, assumendo come valore il bisogno e l’altro” (FB p. 12). “Non si tratta né di solidarietà né di amore, ma di quel sentire che ci rende dipendenti nell’abitare un mondo che è di tutti senza essere di nessuno” (ADM p. 110, c.m.). Dando spazio e parola a quei luoghi, in cui gli “inseparabili” sono “separati”, la filosofia riacquisterà il suo significato autentico e conseguentemente offrirà la possibilità ai suoi interlocutori di diventare ciò che sono.

(1) Da FB “La questione filosofica non è sull’origine, ma sulla sostanza della vita e delle cose che viviamo. La questione è sulla sostenibilità e vivibilità della stessa vita” (p. 16) e ancora “La filosofia è scienza prima. Sapere delle priorità. Di ciò che è prima e che viene prima e sostiene” (p. 16).
(2) Come è possibile raccontare la cura che viene data nella relazione ad di ogni parola e a ciò che non è comunicabile a parole (es. i gesti)?.
(3)Per questo motivo più che moduli didattici preconfezionati l’ “agire scolastico” deve diventare un “campo didattico” dove i ruoli e linguaggi devono essere dislocati.
(4) Alcuni tra loro si domandano “cosa posso fare per cambiare?”.
(5) La capacità della filosofia di dischiudere attraverso un “pensiero proprio” nuove prospettive è emersa sia dagli scritti dei ragazzi, sia dalle osservazioni dei docenti.
(6) La relazione imprevedibile che si crea in ogni incontro fa sì che “La vita cambia ogni volta che incontri una persona, perché la vita è fatta di incontri, di quel che ti danno e che dai” (FC p. 40)
(7) E’ da più di un decennio che Ferraro sottolinea l’importanza di un’ “educazione sentimentale”.

Chi fosse interessato alla filosofia vista come pratica clicchi qui





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